L’atmosfera di Detroit

La mia stanza d’albergo ha 14 asciugamani, di forme diverse ma tutti bianchi. Io ne uso tre e mi sembrano già tanti. Quando torno la sera li trovo puliti, tutti e 14 ordinati come fossero in esposizione. Ho due letti matrimoniali con 8 cuscini, bianchi e inutili come gli asciugamani.
In ufficio serviva l’acqua. Ne abbiamo comprata una confezione da 40 bottigliette. 3 dollari tutto. La plastica s’intende, perché l’acqua, nella regione dei grandi laghi al confine con il Canada, è l’ultima cosa che manca.
Per me hanno comprato le caramelle per il mal di gola. Un pacco da 180 pastiglie che scade tra due anni.

Per utilizzarle tutte dovrei fare un abbonamento con l’influenza. Per i corridoi del giga market si passeggia con dei giga carrelli pieni di giga scatole di prodotti all’ingrosso. Dicono ci siano persone che hanno interi garage pieni di detersivi, patatine, fazzoletti di carta o chissà cosa. Ho visto un ragazzo avviarsi alla cassa con una giga scatola di snacks. Forse dava una giga festa la sera. Oppure, vista la sua giga mole, se li sarebbe triturati tutti lui.
Lunedì siamo andati a pranzo tutti insieme. La cameriera era tanto carina quanto gigantesca, come i miei commensali. Ero l’unico sotto i cento chili. Mi ha servito un’insalata di qualche giga proteine e giga calorie. Scavando sotto alla giga salsa di tonno, le giga uova, le salsine e il formaggio, ho avvistato qualche foglia verde che permetteva di definire il piatto “insalata”.
Detroit è una città in crisi e in preda all’abbandono. Chi può fugge. Le belle villette immerse nel verde sono costellate di cartelli “on sale”. Nei sobborghi meno ricchi il prezzo può arrivare fino a un dollaro. Non le vuole nessuno. Intorno ci sono case pignorate dalle banche e bruciate dagli ex proprietari. Sul web pubblicano tutti reati denunciati alla polizia. L’ultima settimana è un bollettino di guerra: assalti, furti d’auto, rapine. Facendo le proporzioni in un anno e ridistribuendo sulla popolazione del quartiere, ci potrebbe essere più di un crimine procapite.
Ho chiesto dove potere andare a correre. Mi hanno avvisato di stare in guardia. In alcune zone, dopo il tramonto, rischierei le chiappe.
Un’America fuori dalle rotte turistiche di parchi nazionali, grattacieli sfavillanti, gran canyon e ponti di Brooklyn. Siamo usciti a pranzo e il collega americano ha messo in tasca un grosso coltello militare. “Non si sa mai chi si può avvicinare”. Ieri sera ho abbassato il finestrino per chiedere un’indicazione stradale. La signora ha risposto “I don’t speak english”, in un americano perfetto.
Oggi andrò in cerca di una chitarra Paul Red Smith, per risollevare le sorti di questa trasferta.

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