Racconti – Cambiamenti (in)aspettati

La squadra di minatori è stata formata dopo una lunga selezione. Dovranno stare sottoterra per vent’anni, senza mai uscire, costruire la più grande miniera mai realizzata. Scaveranno come talpe, creeranno gallerie, stanze e camere di lavoro. Sempre più nel profondo, sempre più nel buio.
L’ambiente sarà saturo di fumi velenosi, e per questo dovranno indossare delle speciali maschere per l’ossigeno. Senza di quelle potrebbero avvelenarsi, soffocare nel giro di poche ore. Le indosseranno giorno e notte. Per vent’anni.
Mangeranno facendo passare il cibo attraverso una membrana in basso, poi richiudere subito la maschera sulla bocca. Per bere invece useranno delle cannucce.
Parleranno tra di loro tramite microfoni e altoparlanti installati nei loro caschetti protettivi.
Li hanno scelti tutti giovani. Vent’anni d’inferno, poi usciranno e avranno guadagnato abbastanza soldi per il resto dei propri giorni. Hanno già ipotecato villette e attici in città, dove vivranno nel lusso. Ma non è il momento per pensarci. Prima bisogna guadagnarsi tutto ciò. Indossano tute e maschere, guardano la luce del sole un’ultima volta, il cielo blu, gli alberi verdi. Poi sarà bianco e nero. Più nero che bianco. I primi giorni sono duri. I primi mesi durissimi, al limite della depressione.
Vent’anni in cui non possono sentire una voce umana diretta. Certe volte vorrebbero strapparsi quelle maschere dalla faccia, smettere di sentire il loro stesso respiro affannoso e umido intrappolato nei filtri dell’aria. Vorrebbero strapparsi quelle maschere e abbracciarsi, ridere insieme. Vorrebbero bere una birra da un boccale, e non tirare su più con la cannuccia. Si sentono imprigionati, zittiti, esclusi dal mondo, dalle emozioni che non possono manifestare.
Quelle maschere gli coprono anche gli occhi, perché l’aria della miniera gli distruggerebbe lentamente le loro retine, fino a farli diventare ciechi, ma non se le toglierebbero mai. Qualche volta sono vicini a strapparsele dalla faccia, costi quel che costi. Bruciano dalla voglia di farlo, di vedere un sorriso, di sorridere loro stessi.
Non è il lavoro pesante a spaventarli. Scavano tutto il giorno, la sera sono distrutti. A loro questo non importa. E’ la loro missione e ne vanno orgogliosi. Vorrebbero solo togliersi di dosso quei gusci, tornare alle sembianze umane invece che aliene, uscire da quel film di fantascienza, che film non è, che dopo due ore non finisce.
Loro sono forti, preparati a tutto questo. Resistono perché pensano alla vita che li aspetta. Ogni giorno che passa è un giorno in meno che manca a quando usciranno, a quando inizieranno una vita di agi, di viaggi, di divertimenti. Potranno mettere su famiglia. Soprattutto, liberi da quelle maledette maschere.
Nel profondo della miniera e col volto coperto, se piangi non se ne accorge nessuno. Devi dirlo agli altri, comunicare a parole quello che a parole spesso non si può dire. Anche se sei contento devi dirlo. Se sorridi alla battuta di un compagno, devi specificarlo espressamente. Se non apri bocca potresti essere felice o tremendamente arrabbiato. Se non parli gli altri non capiscono come stai. Potrebbero anche interpretare male. Tutto può essere frainteso. Neanche le parole più sincere senza un volto possono essere fraintese.
La squadra più affiatata al mondo sarebbe in grado di superare tale prova. Loro ci provano, limitano i danni, e continuano con determinazione.
Sono passati vent’anni. Il lavoro è finito. E’ il momento di risalire. Loro non stanno più nella pelle. Tutti quegli anni di sacrificio sono alle spalle, e loro sono ancora abbastanza giovani e forti. Torneranno alla vita normale, a parlare e respirare liberamente, ad avere un volto, a potere esprimere emozioni anche senza dire nulla. Hanno in testa una sola immagine, di loro allo specchio che sorridono. La barba ben fatta, i capelli pettinati, gli occhi che brillano in mezzo.
Risalgono i cunicoli, sentono di arrivare in prossimità della superficie. Accelerano lungo gli scalini in fibrillazione, iniziano a vedere il chiarore del giorno che li aspetta. Sono finalmente fuori. Si guardano in giro. Improvvisamente si fermano. Si passano le mani sugli occhi una volta e poi ancora. Increduli, stupiti. Terrorizzati.
Inizialmente non capiscono cosa stia succedendo lì fuori. Li assale un tremendo dubbio. Una domanda alla quale non sanno rispondere, a cui non vogliono rispondere. In realtà la risposta forse la intuiscono, ma non vogliono credere sia quella corretta.
Fuori tutto sembra come prima, esattamente come quando, vent’anni fa, sono entrati nella miniera. Ma come mai l’aria è così sporca? Come mai il cielo non è più blu? Come mai quelle maledette maschere ora le indossano tutte le persone?