Racconti – Trasmissione Notturna

Lipoldi stava rincasando dopo una dura giornata di lavoro. Magazziniere in una grande industria produttrice di cartoni per alimenti, tornava a casa piuttosto esausto, e con la moglie passava le serate di fronte al grande schermo del televisore comprato a rate. Era una fredda sera di fine estate, e un cielo plumbeo andava coprendo la città, dando un’aria ancora più tetra e spettrale alle vie sovrastate dai palazzi grigi e fatiscenti. L’aria era carica di elettricità, e un forte vento sibilava tra i tetti, facendo oscillare il disordinato groviglio di antenne. Si sentivano alcune finestre sbattere.
Lipoldi camminava con un’andatura irrigidita dal freddo, le mani in tasca, e il collo ritratto per sottrarsi alle insidiose folate. Pensieri cupi gli attraversavano la mente. Affrettò il passo, guardando sempre verso terra, quasi con il timore che se avesse guardato in alto avrebbe potuto cogliere qualche cattiva premonizione dal cielo minaccioso, carico di nuvole nere agitate da quel perfido vento. C’era qualcosa di maligno nell’aria; qualcosa che però non riusciva a decifrare.
Giunse finalmente a casa. Chiuse la porta blindata con tutte e tre le serrature, come per volere chiudere fuori casa quella atmosfera negativa.

Abitava però all’ultimo piano. Dalla finestra le grandi nuvole minacciose, e le antenne che si piegavano al vento, si mostravano in tutta la loro gravità. Restò per un po’ ad osservare, in un preoccupato silenzio. “Tutto bene?” chiese innocentemente la moglie. Annuì. Poi aggiunse: “C’è un’aria che non promette nulla di buono”. “Che vuoi che sia, un ultimo temporale prima dell’autunno”. Non rispose, come per acconsentire, anche se in cuor proprio sentiva una certa ansia.
Cenarono, poi si misero a letto davanti al televisore. Il vento continuava a sferzare i tetti, ululando con sempre più forza. La moglie, di fronte ad uno scadente programma di varietà, era quasi caduta nel sonno. Normalmente sarebbe caduto nel dormiveglia anche lui; invece, fissava lo schermo, per la verità in piuttosto distrattamente, ma molto attento invece ad ascoltare quello che succedeva all’esterno. Stava per assopirsi, quando il televisore perse improvvisamente il segnale, mettendosi a gracchiare ad altissimo volume. Lipoldi saltò sul letto, svegliando anche la moglie. “Cosa c’è?” chiese lei infastidita, e continuò: “e abbassa un po’ il volume”. Lipoldi cambiò canale, e si fermò sul successivo, che trasmetteva un film di guerra in bianco e nero. Esplosioni, spari, soldati dai copri dilaniati che cadevano a terra moribondi, tra le fiamme provocate dai razzi e dalle bombe. Classiche scene di quel genere di film, che assumevano un tono ancora più drammatico ora che la tempesta andava annunciandosi fuori dalle finestre. Il televisore sembrava indomito, continuava a perdere il segnale, il monitor lampeggiava velocemente e gli altoparlanti emettevano improvvisi latrati. “Cos’ha questo dannato apparecchio?” si lamentò la moglie. “Non abbiamo ancora finito di pagare le rate e già non funziona?”. Lui non rispose, ma con un movimento della testa indicò la finestra, come per ribadire la sua preoccupazione verso quello che stava succedendo fuori. “Io dormo”, disse lei, borbottando ancora qualcosa prima di sprofondare sul materasso riversa su di un fianco.

Lipoldi si fermò un po’ ad osservare quel monitor a puntini bianchi e neri. Ormai non riusciva più a sintonizzare quasi alcun canale. Solo per alcuni istanti apparivano immagini confuse, per lo più sprazzi di telegiornali con disparate notizie di cronaca nera. Spense il televisore e tentò anch’egli a dormire. Non riusciva però a prendere sonno. Là fuori ora diluviava, il vento insisteva con potenza inaudita, mentre lampi e fulmini illuminavano i tetti. Le antenne sembravano fantasmi neri che si agitavano come se fossero posseduti da una volontà di rivoluzione. Lipoldi sbirciò spostando la tenda. Ad ogni saetta che folgorava nell’aria gli pareva di vedere, al posto delle antenne, enormi cornacchie nere, con dei lunghissimi becchi che picchiavano sui tetti come volendo entrare nelle abitazioni per sopraffarne gli abitanti. Tornò a letto, con un crescente presentimento che qualcosa di orribile stava per accadere. Se ne stava lì nel letto a pensare, seduto, con le gambe sotto le coperte. All’improvviso il televisore si accese da solo, emettendo un fortissimo rumore di fondo. Lo prese un nuovo sussulto, e lo spense con il telecomando. Lo schermo però non diventava nero, persisteva un certo bagliore, plumbeo come il cielo, apparivano alcune strane immagini scure, e la piccola luce rossa lampeggiava con ritmo irregolare. Anche se lo riteneva impossibile, si sentiva osservato. Sapeva che il televisore lo stava scrutando, impassibile. Tra mille dubbi e paure, decise di alzarsi e staccare la spina. Si avvicinò con cautela, quasi paura, ma non appena afferrò la spina con la mano fu colto da una potente scossa elettrica. Tornò terrorizzato nel letto, rintanandosi nelle coperte e cercando di non osservare più l’apparecchio. Ebbe un incubo dopo l’altro. Sognò le antenne che prendevano vita. Terribili uccelli neri che si levavano in volo dai tetti e attaccavano gli uomini, spolpandogli il fegato. Appoggiata al suo televisore c’era un’antenna portatile. Nell’incubo se la ritrovava addosso, nelle sembianze di un grosso corvo, con il becco a pochi centimetri dalla sua faccia, pronto a cavargli gli occhi.
Sogno, tempesta e immaginazione ora si confondevano in un’unica cosa, e lui ne restò in balia per tutta la notte. In tutto questo, la moglie invece ronfava immobile, russando sonoramente.

Quando la mattina suonò la sveglia, un’alba iridescente illuminava la stanza. Il cielo era blu più che mai, dipinto di velleitarie nuvolette rosa. Le antenne, che fino al giorno prima erano uno scomposto ammasso di ferraglia arrugginita, apparivano ora dritte, fiere, lucenti come il cielo. Il televisore era acceso e sintonizzato su un canale senza nome né logo, e mandava immagini apparentemente senza senso, piene di forme in movimento e colori. A volte lo schermo diventava tutto rosso, poi si susseguivano immagini caleidoscopiche, arcobaleni che danzavano a ritmo di una musica mai sentita prima. Lipoldi si destò, e ancora seduto nel letto, iniziò a dare le notizie come recitando il telegiornale. “Ma che vai dicendo?”, disse la moglie un po’ attonita. Allora lui prese a ripetere in sequenza una serie di spot televisivi visti la sera prima. “Ma che ti prende, sei impazzito?”, chiese ancora lei. Gli diede un colpetto sulla spalla, e Lipoldi iniziò a declamare le previsioni del tempo.
Si vestì con la divisa del lavoro, e senza fare colazione si apprestò ad uscire.
La moglie, ora seriamente preoccupata, gli si avvicinò, e con voce più dolce e affabile gli chiese se era tutto a posto. Dalla camera da letto intanto si udiva il televisore cinguettare allegramente. Lei iniziava ad essere spaventata, ma per tutta risposta lui non faceva altro che guardarla come automa. La fissò a lungo con uno sguardo inebetito. Nei suoi occhi, al posto delle pupille, c’erano due piccoli schermi neri, pieni di puntini bianchi che sfarfallavano confusamente. “Cosa ti succede? Non ti senti bene?”, chiese ancora la moglie, quasi supplicando una spiegazione. Lui non le rispose. Aprì la porta, e uscì di casa dando ad alta voce le notizie sul traffico