Viaggio in Turchia

Racconto di viaggio


Racconto di viaggio – Alba sulla Mesopotamia

L’ostello è caldissimo. La finestra della camera, che lascio spalancata anche la notte,
si rivolge verso la moschea blu. Speravo di svegliarmi all’alba con una bella brezza rinfrescante; invece, ai primi bagliori del nuovo giorno, al suo posto entra il canto del Muezzin. Non potrei chiedere una sveglia migliore.
Passeggio per i mercati, indugio un po’ nelle moschee osservando il curioso via vai di gente, ma ispirato dai racconti di un amico viaggiatore ho già la testa proiettata verso l’Anatolia. Lasciata Istanbul voglio spingermi nelle regioni più interne, per giungere fino al Kurdistan, dove si perde quasi ogni traccia dell’occidente.
Noleggiamo una macchina e iniziamo l’avventura “on the road”.
Il giorno che lasciamo la Cappadocia dobbiamo affrontare una lunga tappa che ci porta verso il monte Nemrut, nel cuore dell’Anatolia. Non mi sono informato bene sulla strada da seguire. Apriamo la mia cartina e percorriamo la strada che ci sembra più breve.
Guidare in Turchia da molta gioia. C’è poco traffico, si corre lungo strade che attraversano paesaggi che cambiano continuamente forma e colore.
Nelle colline dell’Anatolia, appena s’incontra una salita ci si imbatte in numerosi camion e auto, fermi con il cofano aperto e il motore in ebollizione. Alcuni riescono a non fermarsi e arrancano sulla salita alla velocità di una bicicletta.
Quando il sole è alto nel cielo la pianura si trasforma in un vero e proprio forno. La strada pare liquefarsi, e il riverbero dei raggi del sole sulla striscia nera d’asfalto crea lo stesso effetto dei miraggi nel deserto. La strada all’orizzonte sembra sia coperta d’acqua.
La nostra tappa appare subito più lunga del previsto. Guidiamo senza sosta per pianure e colline, e quando arriviamo nei pressi di Malatya il sole si sta già abbassando all’orizzonte. Non abbiamo pianificato dove fermarci per la notte. Ci fermiamo presso una stazione di servizio per chiedere informazioni. In pochi minuti la stazione è completamente ferma. Portano fuori un tavolo, alcune sedie, e in pochi minuti allestiscono il banchetto. Un grande uomo baffuto si mette a parlare con me. Ha capito che andiamo sulle montagne, e in qualche modo mi fa capire che vive proprio lassù con moglie e famiglia. Cerca di spiegarmi delle cose, fa disegni su un foglio di carta, a volte chiama uno che spiccica qualche parola d’inglese per fare da interprete.
Ci salutano abbracciandoci come fossimo i loro figli.
Noi ci rendiamo conto che sarebbe stato più agevole arrivare al monte Nermut da sud, ma il dado è ormai tratto. Quando lasciamo la pianura per arrampicarci sulle montagne finisce la strada asfaltata, e inizia una lentissima marcia sui tornanti di terra e buche attraverso le montagne. Il sole tramonta. Accendiamo i fari e continuiamo a salire. I pastori rientrano dai pascoli con le loro vacche, pecore o asini. Noi in macchina ci guardiamo e ridiamo della situazione. Potevamo essere in un pub sui navigli a bere un aperitivo, mentre siamo persi su una strada in mezzo ai monti dell’Anatolia circondati da un gregge di pecore!
Il pastore che ci guarda nell’auto metallizzata come fossimo dei marziani. Oppure ha capito tutto e sta ridendo sotto i baffi.
Affrontiamo l’ennesimo tornante e come per magia appare, incassato all’inizio di una piccola valle, appare un motel. Sembra un miracolo.
Siamo gli unici ospiti. Ci accolgono come fratelli. Pescano il pesce direttamente dal torrente e lo cucinano un grande forno a legna. Passiamo quello che resta della serata comunicando e gesti e disegnando sulla carta, fumando “sisha” al gusto cappuccino. Io sono in preda alla dissenteria e faccio compagnia al bagno più che ai nostri nuovi amici. Devo avere toccato qualcosa di contaminato. Un amico mi aveva raccontato un aneddoto. Proprio in quelle zone, un turco lo aveva messo in guardia riguardo all’acqua: “You drink, you sick!”.
Ci svegliamo nel cuore di notte e saliamo sulla cima del monte Nemrut. Molti turchi e turisti mussulmani si recano qui per aspettare l’alba, in religioso silenzio. Siamo le uniche facce europee a fargli compagnia.
Il sole sorge sulla Mesopotamia, illuminando le statue che il re Antioco I aveva fatto costruire sulla cima della montagna. L’umidità della pianura filtra i raggi del sole e le colline all’orizzonte si colorano di blu.
Il sole sale. Il blu cede il passo al rosso fuoco. Ai piedi della montagna appare l’Eufrate. Dietro, si apre la Mesopotamia. Mi viene in mente la prima lezione di storia in prima elementare: “In quella terra compresa tra il Tigri e l’Eufrate…”.
Sembrava un posto così remoto e lontano nello spazio e nel tempo.
Superiamo il ponte sull’Eufrate e ci ritroviamo dentro.

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