Treni cinesi

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Sono arrivato a Pechino in una giornata di cielo blu. Per un attimo mi sono dimenticato degli articoli di giornale su Pechino chiusa per smog, delle foto della gente con improbabili maschere purificatrici a coprire il viso. Come al solito non ho prenotato nulla. Anzi, non ho deciso nemmeno dove andare di preciso. E’ agosto, periodo di vacanza per gli studenti cinesi. Se anche una piccola parte di loro decide di muoversi, e  magari al seguito qualcuno dei loro parenti, significa che possono essere a milioni in viaggio. Vado alla stazione e per alcune destinazioni non ci sono posti liberi per 10 giorni!

Salta immediatamente il mio piano di andare a nord ovest, già complicato per la mancanza di mezzi pubblici. Prenoto una cuccetta per Pingyao, nella classe più infima, l’unica rimasta. Hard sleeper, letto duro.

La stazione dei treni di Pechino è enorme. Entro e cerco di farmi largo in una folla da esodo di massa. Ogni stanza delle partenze è come una stazione che erutta gente da ogni entrata/uscita. Evito di calpestare chi dorme sul pavimento e arrivo al mio treno. La mia cuccetta è quella più in alto, di tre una sopra l’altra. Ce ne sono sei per ogni box, e ci sono molti box in ogni vagone. Insomma, per ogni vagone dormiranno quasi 100 persone. Il treno parte sferragliando nelle periferie di Pechino. La gente è relativamente tranquilla seduta sui letti bassi. Poi scatta l’ora dei noodle istantanei e tutti corrono ai distributori dell’acqua calda. Mi metto in coda anch’io e poi mi accuccio da qualche parte a mangiare, in una folla di cinesi che aspirano facendo rumore. Io non ci riesco, penseranno che non mi piacciono.

Mi stipo in un box dove tutti ascoltano una bambina che suona la pipa, il mandolino cinese, tiro l’ora di andare a dormire. Mi arrampico sulla cuccetta alta, che mi soffia in testa aria gelida. Allora mi giro, meglio sui piedi. Il letto duro non è poi così duro, però è stretto e anche un po’ corto.

Una cosa fondamentale in Cina è imparare l’ideogramma del ritardo. Grandi città a parte, nessuno parla inglese e leggere i tabelloni pieni di ideogrammi è impossibile. Le stazioni, anche se di città più piccole, hanno grandi tabelloni e passano treni uno dietro l’altro.

Devo partire da Pingyao e fisso un tabellone che sputa nuvole di ideogrammi. Lo guardo per un po’ e scoppio a ridere. Ma una volta imparato l’ideogramma del ritardo posso capire a che ora arriverà il mio treno, e qualche minuto prima inizio a sbracciarmi tra la gente mostrando il biglietto e chiedendo dove andare. Finisce che qualcuno mi porta al mio treno e il gioco è quasi fatto. Il problema è che non ho prenotato le tappe intermedie, ma solo l’ultima, che ho fissato per il ritorno a Pechino dalla Mongolia Interna. Così faccio le altre tratte in piedi. I vagoni sono pieni come barattoli di acciughe, e puzzano anche come barattoli di acciughe. L’aria condizionata è rotta e piscia acqua dal soffitto, il sudore si mischia all’aglio, la ascella di uno è a contatto con la spalla del vicino. Ci si scambia umidità e odori. Provo a non tenermi ai supporti e vedere cosa succede. Il treno curva e io dovrei cadere, ma sono talmente compresso nella massa umana che rimango dritto come uno stoccafisso essiccato. Il treno per Datong viaggia lentamente con lunghe pause in mezzo al nulla. Un po’ come da noi, tranne che per l’aglio che aleggia nell’aria.

L’ultima lunga tappa la percorro di giorno, sedile duro ma almeno ho prenotato il posto. Finalmente mi siedo e mi godo un rientro (quasi) da privilegiato. La prossima volta, se tornerò di estate, prenoterò in anticipo.

PS: Sono tornato davvero in Cina, e di nuovo in estate. Sono andato però ad ovest, dove i treni non ci sono. E con gli autobus possono anche succedere cose peggiori. Dettagli in un prossimo post su blog!

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